TEATRO VERDI

Lo scorso giovedì 21 gennaio, al Teatro Verdi, ho assistito alla recita della commedia “Riccardo Terzo” di William Shakespeare. Altri Soci di Agorà hanno condiviso con me i posti nelle file del secondo ordine di palchi del teatro. L’interprete principale era Alessandro Gassmann, in scena con altri nove attori, tutti degni degli scroscianti applausi di fine recita e di quelli a scena aperta. Non meno meritevoli i tecnici del suono, delle luci e gli scenografi .

   

Tranne una larga fessura di circa tre metri al centro del proscenio, scendevano ai lati due ampi sipari semitrasparenti  sui quali venivano proiettate immagini di ologrammi, ora una serie di ceri accesi, ora delle fiamme di un caminetto, ora una foresta di alberi scheletriti.

                                                                                                       

Nella scelta delle musiche si sono uditi brani moderni come una canzone cantata da Ray Charles e “Brothers in arms” dei Dire Straits. Allo stesso modo i costumi comprendevano quelli del sedicesimo secolo, epoca in cui Shakespeare scrisse il capolavoro, e quelli del nostro tempo, compreso il fucile con cui è stato ucciso Riccardo.

            

Un Riccardo III in chiave moderna, con dialoghi aggiornati con ormai sdoganati intercalari scurrili, che hanno strappato qualche risata agli spettatori. Una lingua asciutta ha reso la trama chiara e coinvolgente. Impegnativo ritradurre e adattare il Riccardo III per dieci attori, mentre l’originale comprende una quarantina di personaggi.

                                                                                                     

Sono state due ore e mezza molto piacevoli e, personalmente, ho trovato originale tutta la realizzazione. Mi ha affascinato il gigantesco personaggio alto circa due metri. Immagino che Alessandro Gassmann abbia dovuto calzare delle scarpe speciali per poter apparire così alto, anche se è già alto di suo. Veramente entusiasti tutti quanti, specialmente il numeroso pubblico di giovani presenti nel teatro.

                                                                                     

Francesca Boldrin