PARIGI IN BIANCO E NERO

 

RICORDI….

 13 novembre 2015. I notiziari radio-televisivi della notte comunicano al mondo che Parigi è sotto attacco da parte di terroristi islamici, attacco predisposto per uccidere il maggior numero di persone innocenti.

            Queste notizie hanno generato in me un senso di orrore e di angoscia. Come è possibile che in nome di Dio (Allah) si possa, oggi, organizzare e portare a termine una tale carneficina?.

             L’angoscia che provavo per quelle vittime cadute sotto i colpi di tanta follia criminale nasceva perché erano persone innocenti con il solo torto di trovarsi a vivere in un mondo libero.

            Ero stato in Francia, con la famiglia, molte volte e se eravamo nel nord del paese ci fermavamo qualche giorno a Parigi. Una marea di ricordi si sono presentati alla mia mente. Dal mio primo viaggio nel 1952 in poi la città ha subito diversi cambiamenti. Quello che non è cambiato, ed è il motivo per cui molta gente passa qualche giorno di vacanza in questa meravigliosa città,  sono la cultura, l’arte, i locali tipici dove si può passare delle bellissime serate in libertà e  gioia.

            Tra i ricordi dei miei viaggi quello più vivo nella memoria è proprio il primo: il viaggio del 1952 in Francia.

            Nel settembre 1950, finito il servizio di leva, Hèléne una ragazza di 16 anni figlia di lontani cugini di mia mamma emigrati in Francia, venne a Milano  per una vacanza. In quel tempo fresco di studi conoscevo abbastanza bene la lingua francese perciò ho dovuto fare da guida turistica per una settimana.

            Con Hèléne rimasi in contatto epistolare per qualche tempo fino a quando, messo da parte qualche soldo, decisi di accettare l’invito a passare qualche giorno ospite a casa sua.

            Così nel settembre 1952 presi un treno per Nancy dove arrivai nelle prime ore del pomeriggio. Hèléne mi attendeva. Dedicammo il pomeriggio ad una breve visita di quella bella città tipica del nord-ovest della Francia con il suo interessante centro storico, la bellissima Cattedrale gotica e l’imponente Hotel de Ville prospicienti le piazze con fontane e grandi aiuole fiorite.

 In macchina abbiamo percorso una quarantina di km. osservando piccoli

 villaggi agricoli disseminati in una distesa di campi, ricoperti di stoppie e punteggiati da cippi posti a ricordo dei caduti nella guerra  1914-18.

Arrivammo poi Mont-Bonvilliers, villaggio come altri in quella parte della Marna con al centro la caratteristica torre di servizio per l’estrazione di minerale ferroso e le rosse case a schiera costruite con mattoni a vista di proprietà della Soc. Mineraria e assegnate alle famiglie dei minatori.

Fui accolto con molta simpatia dai genitori  di Hèléne. Durante la cena si parlò di diverse cose, loro chiesero come vivevano a Milano i loro parenti , tra cui mia mamma, ed io mi interessai della miniera e della attività relativa. Fui colpito ed allo stesso tempo affascinato del duro lavoro dei minatori. Così alla fine chiesi se era possibile visitare la miniera in modo da constatare cosa significava lavorare in un cantiere posto a circa 1.500 metri sottoterra. Il padre di Hèlène, minatore anziano, mi disse che non poteva promettere niente ma che comunque ne avrebbe parlato con i dirigenti.

Il giorno dopo, accompagnato da Hèléne, abbiamo fatto un giro turistico nella Marna la zona compresa fra Nancy Metz e Verdun dove si svolsero le più cruente battaglie della guerra 1914/18. Ancora “cippi” posti in memoria di migliaia di caduti.  Al rientro da questo piccolo giro turistico ebbi una graditissima sorpresa. Il mattino seguente ero atteso alla miniera per una visita guidata. Puntuale il giorno dopo mi recai alla miniera dove, per prima cosa mi fecero indossare abiti adatti cioè giubbotto e pantaloni aderenti, stivali rinforzati, elmetto e lampada ad acetilene, ero pronto per scendere sottoterra.

Dato l’orario non è stato possibile scendere con la cabina (una specie di gabbia), usata dai minatori alla fine di ogni turno, ma ho dovuto accovacciarmi nel  vagoncino per il trasporto dei materiali.  Non ho fatto tempo a rendermi conto di trovarmi su una piattaforma dove il vagoncino fu bloccato. Ebbe inizio la discesa a tale velocita che ebbi la sensazione di precipitare nel buio assoluto del pozzo. Arrivato sul fondo il vagoncino si agganciò automaticamente ad un lungo convoglio che subito si mise in moto.

Il viaggio in quel buio assoluto, rotto solo da lampi generati dal contatto del pantografo della motrice con la rete elettrica, mi sembrò un’eternità.

Alla fine il convoglio si fermò in un tratto di galleria illuminato dove ad attendermi c’erano i due capi cantiere, il padre di Hèléne ed un giovane geometra italiano. Accesa la mia lampada ad acetilene percorriamo un tratto di una galleria laterale fino alla testata dove due minatori convogliavano il materiale su un grosso “tapis roulant” che a sua volta lo scaricava nei vagoncini

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Dopo questa sono stato accompagnato in diverse altre dove mi sono state illustrate tutte le varie fasi di estrazione del minerale ferroso.  Si inizia con la perforazione della testata usando una decina di martelli pneumatici posizionati su un grande telaio spinto verso la parete da un trattore. Un rumore insopportabile! Nella galleria seguente vidi all’opera gli artificieri che collocavano nei fori candelotti di esplosivo prelevati da recipienti atti al trasporto di materiale surgelato non sapevo che la dinamite si dovesse trasportare con tali accorgimenti: mi spiegarono che non si trattava di dinamite ma che erano candelotti di ossigeno liquido: ecco perché si respirava bene. Infine venne un altro artificiere che inserì i detonatori collegandoli ad una rete con del filo elettrico.

Alla fine ci siamo ritrovati con i minatori in un grande spazio da dove partivano le varie gallerie di lavoro e mentre la mia guida mi dava ulteriori spiegazioni iniziò un forte suono di sirene. Dopo qualche minuto tornò il silenzio cosi mi sono avvicinato al magnete che avrebbe fatto esplodere tutte le mine: fu sbloccato e caricato e già attendevo l’esplosione quando la guida mi disse che toccava a me abbassare la leva, cosa che prima di allora avevo visto fare soltanto nei film western. Lascio immaginare l’emozione: abbassai la leva provocando un piccolo terremoto. Digitalizzato_20160126 (5)

La visita era finita cosi come il turno di lavoro ed io ancora emozionato tornai con i minatori in superficie in quella specie di gabbia chiamata ascensore.

La sera a cena conobbi la ragione della fortuna che mi ha consentito di vivere una così grande e interessante emozione. La Soc. Mineraria, per la prima volta, aveva programmato per la festa del 4 dicembre, giorno di Santa Barbara  Patrona dei minatori, la visita alla miniera per i parenti dei minatori ed io ho avuto il privilegio di essere il primo.

 Arrivò così il momento di partire per Parigi, meta del mio primo viaggio.  I Hèléne mi accompagnò a Metz dove avrei preso un treno per Parigi.

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Nel tardo pomeriggio arrivo alla Gare de l’Est ed in attesa dell’ora di cena faccio un giro nei dintorni per trovare una sistemazione per qualche giorno. Ad un certo punto mi fermo davanti ad un piccolo ristorante e mentre leggo il menu esposto, con la mente preparavo le frasi per ordinare la cena ed eventualmente per chiede informazioni su qualche albergo in zona. Come entrai nel ristorante un cameriere mi venne incontro dicendo ”Desidera signore?” in perfetto italiano; da quel momento Parigi fu mia. Dopo un’ottima cena chiesi se in zona potevo trovare un albergo; nessun problema mi trovavo nel ristorante di una locanda.

Avevo già preparato un programma di massima che prevedeva, per i primi due o tre giorni, la visita turistica classica. Partendo da Versailles avrei visitato il Museo del Louvre, Notre Dame, Hotel des Invadides con la tomba di Napoleone e la vicina Tour Eifel dove si poteva salire a piedi solo fino al primo piano.

Ho fatto il perfetto turista per due giorni ed è stato possibile completare il programma delle visite tenuto presente che nel Palazzo di Versailles erano accessibili solo alcune sale restaurate così come al Museo del Louvre dove erano visibili solo pochi quadri perché era ancora in corso il ricupero delle opere trafugate dai nazisti.

Finito il Tour ufficiale controllai quanti franchi avevo ancora, misi da parte quelli necessari per il ritorno in treno, il resto poteva bastarmi per due giorni (forse tre se avessi fatto economia) per vivere la vita sociale parigina.

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Comprai una macchina fotografica usa e getta (il colore non esisteva ancora) e incominciai ad apprezzare un altro aspetto della Parigi di quel tempo. Passavo la giornata camminando attraverso i vari quartieri, ma ciò che mi attraeva maggiormente erano la Rive Gauche e Montmartre. Ero diventato un vero “bohèmien” e non perché artista ma per il motivo che se volevo rimanere  qualche giorno in più dovevo fare economia. Frequentavo la Rive Gauche fino al primo pomeriggio soffermandomi a parlare con qualche “bouquiniste” oppure condividendo il pasto con qualche gruppo di studenti che si riunivano sotto i ponti per discutere dei loro problemi. Mangiavo una  mezza “baguette” al prosciutto o al formaggio acquistata in una “cantine”  situata nella vicinanze.

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Il tardo pomeriggio lo passavo seduto sulla scalinata della Chiesa del Sacré-Coeur da cui si poteva godere la magia del tramonto. Non c’era molta gente quindi mi avvicinavo a qualche gruppetto di giovani pittori che tentavano di trasportare sulla tela lo spettacolo di Parigi che si vestiva con i colori del tramonto. Subito dopo i pittori rientravano con i loro cavalletti nelle stradine della vecchia Montmartre, li seguivo per ammirare la maestria con cui riportavano i colori del tramonto sulle loro tele. Ormai era sera.  Dopo aver chiuso la cassetta dei colori e ripiegato il cavalletto si avviavano verso un bistrot gestito da un alsaziano dove con pochi soldi si cenava con un piatto tipico,  la “chou-croute” accompagnato da una buona birra.

Nei tre giorni che le mie possibilità mi hanno concesso ho vissuto come in un sogno tra giovani artisti squattrinati ma liberi e aperti con i quali era facile instaurare un rapporto amichevole.

Peccato, la vacanza era finita, dovevo rientrare a Milano ed in treno. con un velo di tristezza, pensavo che avevo assaporato il significato  della parola libertà di pensiero e di scelta di cosa si vuole fare al difuori di ogni preconcetto, la vera libertà di pensiero non era un’utopia ma era un dono a chi aveva il coraggio e l’intelligenza di cercarla.

Gennaio 2016