Da un articolo di R.Brumat sulle pagine di cultura del CORRIERE DELLA SERA.

Una città senza soldi ha realizzato un prato senza erba. Fatto a tempo di record in 17 mesi, tra il 1775 e il “76 su idea del provveditore della Serenissima  Repubblica di Padova, Andrea Memmo.  Di nobile famiglia Memmo, compagno di scorribande di Giacomo Casanova, compì la ristrutturazione del Prato della Valle 14 anni prima di venir “trombato”  alle elezioni che proclamarono Lodovico Manin ultimo Doge di Venezia finendo poi in miseria.

Incline più al razionalismo illuminista mitteleuropeo che all’italico pressapochismo, Memmo intervenne su un’area degradata (il campo marzio o marcio) confinante col centro urbano, dove la presenza di acquitrini simboleggiava bene  il ristagno socio-economico della Padova del tempo. La piazza più grande d’Europa nacque in un periodo di vacche magre paragonabile all’attuale, dove lo Stato in fase decadente non aveva più “bezzi” da investire in opere pubbliche. E qui sta la genialità del personaggio che seppe convincere i capitalisti padovani a collaborare in un project financing ante litteram. Convinse anche i frati di Santa Giustina a chiudere la vertenza legale con la città cedendo un pezzo del Prato della Valle. Lo spazio nascente avrebbe dovuto unire città e campagna, trasformare la fiera del Santo che lì si teneva da secoli, da fiera del bestiame e evento economico-culturale. Giovanni Costa attuale presidente della Cassa di Risparmio del Veneto, ricorda che Andrea Memmo non si accontentò di reperire i soldi per l’opera: costituì un fondo (La cassa Prato) per  i futuri interventi. Quando poi si trattò di abbellire la nuova piazza, Memmo pensò di battere cassa (da 135 a 150 zecchini) alle famiglie i cui antenati sarebbero stati raffigurati nelle 84 statue di illustri padovani  (compreso lui veneziano) che avrebbero cinto l’isola Memmia (6 dei dogi, distrutte dai francesi nel 1797, furono sostituite da obelischi. Tra i nomi dei sottoscrittori esteri, si ricorda il Papa e i re di Svezia e di Polonia. Furono le forti piogge del 1772 a premere per metter mano con urgenza a quei pantani tra il centro e la basilica di Santa Giustina. Il reggente della città, conoscitore dell’opera del Palladio,intendeva migliorare l’aspetto di Padova per attirare più turisti: “Voglio far diventare l’immenso Prato una delle più belle piazze d’Europa”. Primo intervento che occupò mille persone:bonifica della palude, da troppi secoli incubatoio di zanzare. Poi collocamento di 44 bottegne lignee smontabili e dotate di colonnato dentro l’elisse sopraelevata, ispirata al Colosseo: Ogni scarabocchio del provveditore veniva messo in bella copia dall’abate architetto Domenico Cerato, progettista poi dell’Ospedale civile. Andrea Memmo riuscì nel suo intento: anche senza il progettato terzo giro di 36 statue, l’isola Memmia divenne quella che batezzò “Isoletta sacra al commercio e alle arti”, ospitando fino ai giorni nostri botteghe, ma anche melodrammi, danze e concerti; e il Prato si traformò in  luogo per spettacoli, fiere, parate militari, corse di bighe, fuochi artificiali: occasione per ritrovarsi in uno spazio moderno e confortevole, lontano dall’idea di campagna che l’aveva fino ad allora connotato.