La libertà religiosa deve trovare spazio oltre che nella sfera privata anche in quella pubblica.
I rapporti tra lo Stato (teocratico, laico, confessionale, aconfessionale o ateo) e le varie confessioni religiose ne costituiscono l’applicazione pratica.
Lo Stato aconfessionale spagnolo con cooperazione, ad esempio, non è laico né indifferente, ma neutrale: esso rispetta il credo e il non credo di tutti.
Questo Stato aconfessionale riconosce il fatto religioso come elemento positivo e stabilisce rapporti di collaborazione o di cooperazione con le confessioni esistenti in Spagna.
Oggi, con l’alibi della necessità di garantire la libertà di espressione, si denigra e si umilia troppo spesso la libertà religiosa, senza considerare che la prima è un diritto subordinato alla seconda, che è collegata a sua volta a quella di coscienza: un individuo prima pensa, poi si esprime: chi può esprimere ciò in cui non crede o che non pensa in coscienza? Se avviene questo, l’individuo non si esprime liberamente, ma diventa schiavo di ciò che gli altri pensano per lui; e così, anteponendo la libertà di espressione a quella religiosa si arriva, appunto, a minare il diritto a quest’ultima.
Se il relativismo morale può diventare assoluto in nome della tolleranza, c’è il rischio che anche i diritti fondamentali si relativizzino e che si sfoci nel totalitarismo: nel garantire e nel difendere la dignità dell’uomo e dell’umanità il principio della maggioranza non basta.
Il relativismo morale porta a rinunciare non solo alla religione ma anche all’uso saggio della ragione: è per questo che desta sempre maggiore preoccupazione il fatto che il mondo occidentale con il suo relativismo morale si predisponga a rinunciare sempre più ai propri valori e a perdere scriteriatamente la propria identità.

Rielaborazione da: L’Osservatore Romano 4-5 marzo 2013