La canzone della “nave”

Nave tu porti un carico

d’intemerata fede,

gente che spera e crede

nel sol della libertà.

   Vai verso la vittoria

   carica di catene,

   navighi fra le pene

   verso la libertà.

Sorge la nuova Europa

In mezzo a tanti mali

e un popolo d’euguali

nasce alla libertà  

     Le scariche e gli schiaffi

     i pugni e gli staffili

     non ci faran mai vili:

     viva la libertà.

Sorge la nuova Europa  

in mezzo a tanti mali,  

e un popolo d’euguali

nasce alla libertà.

     I baci e le carezze,  

       le false cortesie

       non ci faran mai spie,

       gentile Carità.

Egidio Meneghetti e i suoi compagni

I Padovani

conoscono certamente via S. Francesco, percorrendo la quale passano davanti a Palazzo Giusti (al n. 83). Esso fu abitato, quanto pare, già in epoca medievale da una comunità religiosa.

Nel secolo XV fu residenza della famiglia Orsato, e successivamente dei Lazara (una delle più illustri casate della Città), che ospitarono nel 1574 Enrico di Valois – re di Polonia – divenuto Enrico III re di Francia. Nel 1870 lo acquistava il conte veronese Gerolamo Giusti del Giardino. Vi fu ospite Vittorio Emanuele III, durante la sua lunga permanenza a Padova nel 1917-’18.

Nel 1944 il palazzo fu confiscato dalla Banda Carità, corpo speciale segreto e di torturatori della Polizia Fascista.

Su quanto avvenne fra l’ottobre del 1944 e l’aprile del 1945 c’è una ricca bibliografia, opera di quanti si occuparono delle vicende della “Banda Carità” e delle violenze (nonché degli assassini) da essa perpetrati.

I primi padovani arrestati furono il prof. Adolfo Zamboni e l’avv. Sebastiano Giacomelli; agli uomini della “Banda” va imputata l’uccisione di Otello Pighin “Renato”, di Franco Sabatucci e di Corrado Lubian.

Complessivamente il numero degli arrestati raggiunse 130, anche se le varie … permanenze furono di pochi giorni (e per taluno di Core), per altri di settimane e mesi. Aumentano i reclusi, mancano le celle. Il maggiore Carità dispone per i lavori necessari. Bisogna aggiungere celle a quelle già esistenti nel palazzo: ecco le scuderie. Si approntano cinque celle, misure m 1,80×1,10. Ciascuna è destinata a tre persone su cucce sovrapposte. Impossibile passeggiare all’interno: bisognava stare sdraiati sulle nude tavole. Siamo tra la fine di gennaio e i primi di febbraio: si pensa di dare un nome alla nostra dimora. La proposta proviene da qualcuno per il quale le celle ricordavano le cabine di una nave… il nome fu accolto per il momento e per il futuro. Commenta Boscardin: «Siamo a bordo del Conte Giusti, garantito contro il rullio e il beccheggio; ti fanno le cure elettriche contro il mal di mare; viaggi gratis, ecc. ecc.». E aggiunse poi: «Nave era sul serio. Una nave travagliata, ma impavida contro ogni tempesta… E la mèta era luminosa ». Ispirandosi alla “nave”, Egidio Meneghetti improvvisò una canzone sull’aria del Ponte di Bassano che cominciò ad essere cantata dai detenuti alla sera prima del sonno e alla mattina prima del risveglio. Il maggiore Carità che aveva sequestrato a Gino Cerchio il testo della canzone, s’infuriò per il contenuto della terza strofa, che documentava i maltrattamenti e le torture, minacciando rappresaglie. Fu perciò deciso di sostituire così la strofa incriminata:

I baci e le carezze,

le false cortesie

non ci faran mai spie,

gentile Carità.

 

Al motivo della “nave” si ispirò poi Amleto Sartori per il “sigillo” che più tardi fu consegnato agli ex detenuti e riprodotto nella targa in marmo, affissa di fianco alla porta di ingresso del palazzo Giusti in via S. Francesco, che riproduce il testo della canzone.

 

Da:

“patria indipendente , 20 giugno 2010” La vicenda degli antifascisti rinchiusi a Palazzo Giusti di Padova

B. Paolo