In occasione del Centenario della Prima guerra mondiale vorrei condividere quanto ho scritto nel 2011 in occasione del Centenario dell’unità d’Italia                                              Ivan.

IL MONTONE E LE “SS”,

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  Caporetto è il nome di un piccolo comune situato in una verde e ridente valle racchiusa tra i fiumi Isonzo  e Natisone.

         Oggi, a 94 anni di distanza da quel 1917 quando l’esercito austriaco ha sfondato le linee italiane invadendo la pianura veneta fino al Piave, pochi ricordano il sacrificio dei nostri soldati in quel frangente, oggi la parola Caporetto per molti significa eroismo dei nostri soldati che sono riusciti a fermare l’avanzata austriaca proprio sul Piave, mentre per altri la parola Caporetto non è altro che il sinonimo di disastro o disfatta.

         Ebbene in quella valle ci sono nato, precisamente in una piccola frazione (di circa 150 abitanti) chiamata Staro Selo .

         Sono affezionato a questa terra dove da ragazzo ho passato tutte le mie vacanze perciò quando sono nelle vicinanze cerco sempre di ritornarvi di sfuggita ed anche quest’anno mi sono fermato a Caporetto per pranzo, mentre mangiavo pensavo a tutte le vicissitudini che ha avuto la zona negli ultimi cent’anni che riguardano l’unità d’Italia.

         Stiamo ricordando e festeggiando il 150° anniversario dell’unità d’Italia perciò sentii il dovere di salire al Sacrario dei Caduti italiani della grande guerra , non potevo fare molto, mi sono limitato a firmare il libro dei visitatori e dire una preghiera nell’antica chiesetta di  Sant’Antonio.

         Seduto su un muretto da lassù dominavo tutta la valle e fui sopraffatto dal ricordo delle belle vacanze passate con i cugini e gli amici a Staro Selo. Forse a causa del luogo in cui mi trovavo, i miei ricordi si soffermarono soprattutto su quella terribile estate del 1943.

         Avevo 14 anni e come tutti gli anni anche questa volta passai l’estate presso gli zii, per poi tornare a casa alla fine di settembre ma il bombardamento del 15 agosto distrusse mezza Milano compresa la bottega di falegname di mio padre e molte scuole. I mie genitori vennero a Caporetto in attesa che a Milano fosse ripristinato un minimo di vivibilità. Il papà rientrò quasi subito, mentre io e la mamma siamo rimasti presso gli zii fino al febbraio del 1944, quando riaprirono le scuole.

         Venne l’otto settembre e, con la firma dell’armistizio, i soldati italiani abbandonarono la parte della Iugoslavia occupata e la zona passò nelle mani dei combattenti iugoslavi che fondarono la repubblica partigiana dell’Istria.

         Fin dall’inizio della guerra tutte le famiglie allevavano qualche pecora per avere la lana. Le pecore dovevano esse condotte al pascolo. Occorreva un pastore, fui assunto in cambio del pranzo che le famiglie, a turno mi facevano arrivare al pascolo. Ogni mattina facevo il giro del villaggio per riunire le pecore e salire al pascolo, si trattava di una trentina di pecore di razza Carnica. molto grandi e robuste. Avrei potuto godere delle meravigliose giornate tutto solo nella tranquillità bucolica dei boschi  se non fosse stato per il nostro cattivissimo montone che, nonostante fosse castrato, caricava qualunque cosa che non fosse una pecora, quindi abbastanza difficile da gestire, tanto che un giorno m’ero chinato per raccogliere una mela mi è piombato alle spalle facendomi rotolare in quella radura per una ventina di metri. Qualcuno ricorda ancora questa situazione e soprattutto le matte risate che si sono fatti a mie spese. Decisi di domare la bestiaccia e ci riuscii (metodo bastone e carota).

         Altra incombenza riservata ai ragazzi era quella di provvedere al cibo per i conigli e per il maiale pertanto dovevamo andare con un carrettino a mano a raccogliere l’erba fresca per i conigli e le zucche per il maiale. Naturalmente ogni sera sorgeva una discussione a chi toccava tirare il carrettino, occorreva un rimedio. Pensammo subito al montone quindi apportammo qualche modifica al carrettino, preparammo i finimenti e a dire il vero l’animale si adattò molte bene alla situazione.

         La Repubblica partigiana non durò molto, almeno in quella zona, in quanto un bel giorno la valle fu scossa dal crepitio delle mitragliatrici e da colpi di mortaio. Abbiamo appena fatto tempo a renderci conto che un villaggio distante circa 4 km  stava bruciando quando una tempesta di pallottole rimbalzava sui tetti e contro i muri di Staro Selo.  Dopo pochi ma lunghissimi minuti, cessato il fuoco, entrarono in paese  da ogni parte pattuglie di soldati con divise che non avevo mai visto, si trattava di una compagnia di “SS”, un corpo dell’esercito tedesco particolarmente addestrato ed efficiente, noto per la ferocia con cui conduceva le sue battaglie contro i partigiani.

         Subito tutti gli uomini furono riuniti in uno spiazzo al centro del paese e, con una mitragliatrice davanti, un ufficiale continuava a chiedere dove fossero i partigiani. Mia mamma fu costretta a fare da interprete e, dopo aver trasmesso le minacce dell’ufficiale cercò di spiegare che si trattava di pacifici contadini che nulla avevano a che fare con la guerra, forse riuscì a convincerli perché  al tramonto tutti poterono rientrare nelle loro case. Lascio immaginare l’angoscia ed il terrore di quel pomeriggio.

         Eravamo a tavola per cena quando, aprendo con un calcio alla porta, entrò un sott’ufficiale che con modi molto sgarbati chiese dell’acqua calda, nel dargli l’acqua mia madre gli chiese se voleva un po’ di polenta e formaggio, rispose  “Die Polenta ist fűr die Schweine” (la polenta è per i maiali). Sul villaggio intanto era scesa un cappa di terrore, nessuno era in grado di prevedere cosa sarebbe successo il giorno dopo.

         Il mattino seguente il sott’ufficiale venne da noi per scusarsi del suo comportamento della sera prima dicendo che dipendeva dal fatto che era stato ferito, mia mamma gli chiese  perché avevano distrutto il villaggio vicino, la gelida risposta fu “Ganz Dorf alle Banditen” (in quel paese erano tutti banditi).

         Furono giorni di terrore, si era instaurato una specie di coprifuoco, nessuno aveva il coraggio di uscire dal villaggio per andare a lavorare nei campi. Dopo tre o quattro giorni i conigli ed il maiale avevano fame quindi fu deciso che noi ragazzi avremmo potuto tentare di uscire per raccogliere il foraggio necessario agli animali. Come al solito, attaccammo il montone al carrettino e con molta circospezione ci avviammo lentamente verso i campi.

         Qualche minuto dopo si affiancò, a cavallo, il comandate delle”SS” e mantenne il nostro passo fino all’uscita del paese poi parti al galoppo, non abbiamo avuto nemmeno il tempo per un sospiro di sollievo che il nostro montone parti  all’inseguimento del cavaliere ad una velocità pazzesca su una strada sterrata e piena di buche con una seria possibilità di ribaltamento.

         Il terrore dei tre poveri tapini aggrappati alle sponde del trabiccolo col rischio di essere sbalzati ad ogni buca dava un involontario spettacolo comico ai molti tedeschi presenti lungo la strada. Sono convinto che non si erano divertiti tanto dal giorno del loro arruolamento ed in seguito a quelle risate, come per magia, ad un tratto quella plumbea cappa di terrore e diffidenza che si era instaurata sul paese si dissolse e la vita tornò quasi normale. Nonostante i continui controlli, i contadini con molta cautela tornarono al lavoro nei loro campi.

         A parte l’eroico ed involontario umorismo con cui tre ragazzi ed un montone hanno osato sfidare in corsa un superbo cavallo bianco montato da un ancora più superbo ufficiale delle “SS”  mi sono rimaste nella mente le frasi che ho voluto scrivere in tedesco.

         Mi sono chiesto perché ricordavo solo queste due frasi in quel brutto contesto, probabilmente importante era il tono, e solo dopo qualche tempo credo di avere trovato la risposta.

         Prima della guerra i tedeschi erano considerati persone molto educate e corrette l’episodio suddetto ne è la conferma in quanto, prima gli sfugge  il concetto che i militari avevano nei confronti dei non tedeschi – la polenta era adatta – ed il giorno dopo le scuse  per l’infelice frase , poi la tranquilla affermazione che il paese era stato distrutto in quanto gli abitanti (anche donne e bambini) erano tutti banditi e quindi era tutto normale.

         Questa è la guerra che sconvolge la vita e la mente di chi la fa e di quelli che la subiscono anche se da ragazzi, qualche volta, l’abbiamo vissuta come un gioco ma  alla fine ci siamo ritrovati più vecchi. Quei cinque anni ci hanno fatto crescere molto velocemente anche se un pochino magri.

  24/06/2011

P. S.  Dopo qualche tempo le “SS” lasciarono il paese ad una compagnia di cosacchi che avevano il compito di mantenere militarmente la zona. Dopo qualche tempo i cosacchi lasciarono la valle  per trasferirsi poi in Carnia attraverso il passo tra le montagne che chiudono il lato occidentale della valle di Caporetto.

         Diversi anni dopo seppi, dal romanzo scritto da Carlo Sgorlon che facevano parte di quella che lo scrittore ha chiamato  “L’ARMATA DEI FIUMI PERDUTI”

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