GIOCHIAMO!! NONNI E BAMBINI (SI) INSEGNANO A GIOCARE

 

Questo affascinante tema ha messo in moto la mia memoria, ho rivisto, come in un film, tutto il giocare che ho fatto a partire dai 6-7 anni ad oggi.

Abitavo in un quartiere popolare di Milano, con grandi caseggiati e molto spazio libero dove quasi sempre una decina di ragazzi si riuniva, di solito dopo aver fatto i compiti, per giocare.

Parlo di gioco e non di giocattoli in quanto in quei tempi le possibilità dei genitori di fare regali per Natale e per i compleanni, erano molto ridotte quindi non potevo aspettarmi molto se non qualche libro per ragazzi e qualche dolcetto oppure, secondo necessità, un maglioncino o un paio di scarpe nuove, sempre con annessi dolcetti.

Erano libri di avventura per ragazzi da “I ragazzi di via Pal “ a “Il Corsaro Nero” per passare ai “Tre Moschettieri” oppure alle “Tigri della Malesia”.

Eppure bastava trovare un bastone con in cima uno straccio nero che subito facevamo parte di una ciurma di pirati in un covo di qualche isola caraibica; bastavano alcuni vecchi  mattoni o qualsiasi altro materiale  sufficiente per una barricata ed ecco un fortino da cui sparavamo su un invisibile nemico.  Eravamo talmente occupati che ci dimenticavamo perfino che era ora di cena.

Poi c’erano i giochi stagionali: in maggio il Giro d’Italia e a settembre il Gran Premio di Monza. Per quanto riguarda il Giro d’Italia era facile in quanto bastava disegnare col gesso sul marciapiede quello che poteva  sembrare l’Italia e poi entro quei limiti veniva disegnato il percorso dei ciclisti, a questo punto entravano in scena i campioni in carica rappresentati dai tappi a corona ripieni di stucco che si muovevano a colpi di “cric” cioè lo scatto del dito medio rilasciato dal pollice, il guaio era quando c’erano due o tre Bartali o più di un Coppi!

Per il Gran Premio di Monza veniva invece scavato un canaletto nella terra che assomigliava  appunto al famoso circuito, curva di Lesmo compresa, e questa volta le potenti macchine e i relativi piloti erano rappresentati da colorate biglie di vetro.

Con l’inizio della guerra ed il conseguente sfollamento, moltissimi amici lasciarono la città, rimanemmo in pochi e non era opportuno uscire; dovevamo fare molti compiti in quanto la sirena interrompeva spesso le lezioni ed il programma scolastico doveva  essere svolto. Agli insegnanti restava poco tempo per le lezioni  pertanto con la correzione dei compiti  riuscivano a colmare le lacune. Il tempo per giocare in casa non era molto ma,  in compagnia, c’era il gioco dell’oca, le carte oppure la battaglia navale che ci aiutava a passare il tempo in cantina durante l’allarme.

A guerra finita tutto tornò quasi come prima. Ero già grandicello (16 anni),  data l’età molti compagni di gioco trovarono lavoro, come apprendisti presso officine della zona mentre io continuai a frequentare la scuola. Fu abbastanza pesante, si doveva recuperare l’anno perso, ma ho sempre avuto la possibilità di divertirmi (costruivo o smontavo sempre qualche cosa).

Quando nelle scuole ho raccontato di come un tempo si giocava qualche ascoltatore sospirava “povero nonno non aveva giocattoli”. Mi toccava allora precisare che a quei tempi la nostra fantasia era tale che ci potevamo permettere di pilotare una vera Ferrari o una Maserati, io ero sempre Ascari perché vinceva molto spesso .

Il tempo passa e con i miei figli, nati negli anni sessanta, ho potuto giocare con i giocattoli ma non è cambiato niente, perché era sempre la fantasia l’ingrediente principale, quando due amici si incontravano con due automobiline era subito un gran premio, così era anche per le bambine, quanta fantasia in quel chiacchiericcio necessario per il funzionamento di un buon menage famigliare e  per la buona salute di Ciccio bello.

Il destino mi ha portato a Padova e quando ho dovuto ricoverare mia moglie, non più autosufficiente, ho trovato posto presso la Residenza Santa Chiara, una delle strutture dell’ O.I.C. al piano terreno della quale ha sede il “Museo Veneto del Giocattolo”.

La possibilità di visite guidate per le scolaresche è stata accolta con favore dalle scuole; iniziarono le visite di bambini della scuola primaria. Occorreva qualcuno che facesse da guida, fu un invito a nozze. Era incredibile l’interesse di quei ragazzi trai 10-12 anni per i giocattoli di un tempo (alcuni hanno più di 100 anni) tanto che si immedesimavano con domande e commenti, ai loro coetanei di quel tempo.

Per i più piccoli, invece, la visita al Museo è il gioco dei confronti. Tutti conoscono i treni, le automobili, gli aerei ma quando vedono quelli esposti domandano come mai sono così diversi? Non sempre è facile essere convincenti perché ogni spiegazione provoca una ulteriore domanda.

E giunto il momento di fare una confessione. Solo da grande ho potuto avere il mio giocattolo preferito con il quale, assieme mio figlio Andrea, abbiamo giocato per diversi anni. La bellissima ferrovia, con i relativi treni, che pian piano avevamo costruito ora giace, in diversi scatoloni, in garage. Che nostalgia quando, in occasione delle visite di scolaresche, con la scusa di fare la guida,  torno a giocare con quel vecchio e prezioso trenino del Museo Veneto del Giocattolo.

IL mio destino è legato al mondo dei giocattoli in quanto nei primi anni di questo secolo ero segretario di una Onlus chiamata “Giochiamo insieme”,  creata per gestire un asilo per bambini disagiati con i quali ho passato parecchie mattinate a giocare (sembra che i nonni siano molto apprezzati come compagni di gioco).

Abitavo ad Arona, una cittadina il cui benessere proveniva in parte anche dalle piccole e medie fabbriche di giocattoli per cui una tradizionale Mostra di Natale fu  dedicata proprio ai giocattoli. La realizzazione fu affidata dal Comune alla Onlus che amministravo per far in modo che gli aiuti promessi arrivassero dal ricavato dei biglietti d’ingresso. A visitare la Mostra venivano bambini accompagnati dai genitori e scolaresche della zona ed io, che  avevo il duplice impegno di cassiere e guida, ho avuto la possibilità di apprezzare l’importanza del gioco e dei giocattoli dall’entusiasmo dei visitatori, grandi e piccoli. Molte persone, conosciuto lo scopo benefico della Mostra, hanno contributo  con piccole donazioni e soprattutto portando giocattoli in quantità tale da doverli distribuire fra diversi reparti pediatrici degli ospedali della zona.

Quale socio d’Agora ho dedicato il tempo disponibile alla  Mediateca dove, tra l’altro, abbiamo un magnifico impianto Wii. Qui cominciano i guai perché ogni tanto qualche ragazzino/a si sofferma da noi in attesa che i genitori tornino dalla visita all’ospite ricoverato. L’attesa ci permette di fare qualche partita con uno dei giochi previsti; povero nonno, perdo sempre. Ho scoperto che ci vogliono ben altri riflessi! Eppure è divertente vedere la soddisfazione che si legge sul loro viso: hanno battuto quel nonno che credeva di sapere tutto.

Ultimamente al Museo del Giocattolo è presente una mostra temporanea sulla storia delle api. In seguito alla visita a questa mostra, per i più piccini (6-7 anni), dopo aver spiegato in modo adeguato, la vita delle api, i nonni guida hanno, per gioco, letteralmente trasformato, con piccoli accorgimenti, i ragazzini in vere e proprie api “bottinatrici”. E’ stato uno spettacolo inatteso vedere i bambini con quanta serietà e gioia incredibile correvano da un fiore all’altro succhiando il nettare (acqua zuccherata) e trasportando il polline (borotalco) da un fiore all’altro, come delle vere api.

Attraverso i secoli sempre il gioco ha creato socializzazione; sviluppato la fantasia e l’intuizione; esercitata la memoria e reso gioiosa l’esistenza.  Giocando non si invecchia.