In casa, come compagnia e impegno quotidiano, gli animali domestici costituiscono per chi li ama un diversivo e allo stesso tempo un antidoto alla solitudine. Ma la pet therapy, ovvero la terapia che prevede il contatto con gli animali come valido apporto di cura, viene sempre più accreditata anche in case di riposo, Rsa e in alcuni ospedali come stimolo a superare momenti di tristezza, favorendo l’autostima e la socializzazione. E i risultati si vedono, tanto che l’Istituto superiore di sanità ha stilato nel 2007 un dettagliato rapporto su “Terapie e attività assistite con gli animali: analisi della situazione italiana e proposta di linee guida”, che constata l’efficacia di questo tipo di terapie “nel ridurre la depressione, la pressione sanguigna, l’irritabilità, l’agitazione e nell’aumentare l’interazione sociale negli anziani ospedalizzati o in ospiti in case di cura, spesso soli, privi di affetti, chiusi in se stessi, e restii ad avere rapporti interpersonali”. E in alcune patologie “la presenza di un compagno a quattro zampe può stimolare il comportamento sociale, aumentando la frequenza di sorrisi, risate, sguardi, carezze, la verbalizzazione tra pazienti, il chiamare per nome…”. Cani e pappagalli, ad esempio, si sono rivelati particolarmente efficaci nella relazione con persone della terza età. Anche con i pazienti affetti da demenza senile o Alzheimer, da disabilità fisiche e mentali o da disturbi motori. L’animale, infatti, diventa uno stimolo al movimento, a fare carezze, calmando gli stati di ansia.

Il benessere psicologico della pet therapy (tradotta in italiano con ‘Aat’, terapie assistite dall’animale), per chi ama gli animali, appare garantito. In casa cane o gatto vanno comunque accuditi, nutriti, spazzolati. Nelle strutture vengono organizzate attività che gli anziani potrebbero svolgere nella propria abitazione; il rapporto instaurato con l’animale, attraverso la comunicazione gestuale e non verbale, facilita anche la relazione con i terapeuti e diminuisce lo stress.