Soldi&Diritti 123 Marzo 2012
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1 marzo 2012
Le novità più rilevanti introdotte dalla riforma previdenziale sono quelle legate all’innalzamento dell’età per accedere alla pensione di vecchiaia: si va in pensione più tardi, con un meccanismo progressivo che prende in considerazione l’aspettativa media di vita e fissa, nel giro di 7 anni, a 66 anni e 11 mesi l’età pensionabile per tutti. Sono stati poi modificati i metodi di calcolo, con l’abolizione del sistema retributivo e l’applicazione per tutti di quello contributivo. È stata anche cancellata la pensione di anzianità, che permetteva ai lavoratori di andare in pensione con 35 anni di contributi, e introdotta la cosiddetta pensione anticipata. Addio anche alle finestre previdenziali, ovvero i periodi che intercorrevano tra la maturazione dei requisiti alla pensione e la sua effettiva erogazione. Infine, è stato introdotto anche un meccanismo di incentivi e penalizzazioni.
PREVIDENZA Le nuove regole Crisi economica e aspettativa di vita fanno slittare in avanti l’età per ritirarsi dal lavoro.GLOSSARIO Età pensionabile. È l’età, raggiunta la quale, il lavoratore iscritto a un fondopensionistico (ad esempio l’Inps) matura il diritto alla pensione di vecchiaia.
Pensione anticipata. Dal 2012 la pensionedi anzianità, che prevedeva la possibilità di andare in pensione con 35 anni di contributi,è stata cancellata e sostituita dalla pensione anticipata. Per usufruirne occorrono 42 anni e un mese per gli uomini e 41 anni e un mese per le donne. Il requisito si innalzerà di
anno in anno.
Sistema contributivo. La pensione viene calcolata in base ai contributi versati negli anni lavorativi. Con il vecchio sistema (quello retributivo) la pensione veniva invece calcolata in base all’importo delle ultime retribuzioni.
Regime di totalizzazione. Consente di percepire un’unica pensione a quei lavoratori che hanno versato contributi in diverse casse, gestioni o fondi previdenziali.
È stato abolito il vincolo che ne impediva l’utilizzo se questi contributi erano inferioria un triennio.
Una vera e propria rivoluzione. La riforma delle pensioni varata dal governo Monti, a firma del ministroFornero, è una tappa storica per il nostro Paese e, in particolare, per il nostro sistema pensionistico.
Erano 16 anni, dalla riforma Dini del 1995, che non si interveniva così pesantemente in questo settore.
Finora erano stati adottati correttivi, ma la crisi economica, la necessità di ridurre i costi e di ripianare il bilancio dello Stato, gli inviti da parte dell’Europa ad adeguarci agli standard degli altri Paesi dell’Unione europea, nonché l’aumento delle aspettative di vita degli italiani e il minor numero di giovani che entrano nel mondo del lavoro (e che sostengono quindi le pensioni), hanno reso necessario il profondo restyling.
Un terremoto che ha rivoluzionato dalle fondamenta tutte le regole in base alle quali si erano erogate finora le pensioni dei lavoratori, sia dipendenti che autonomi.
Con l’obiettivo di prolungare la vita lavorativa di ciascuno di noi e di far slittare il più avanti possibile l’erogazione dell’assegno di Pensioni: quasi Soldi&Diritti 123 Marzo 2012 15 previdenza sociale che ogni anno pesa di più
sulle casse dello Stato (i costi pensionistici sono pari al 13,5% del Prodotto interno lordo nazionale, cioè della ricchezza prodotta dall’Italia).
Tante le novità. Le novità più rilevanti sono quelle legate all’innalzamento dell’età per accedere alla pensione di vecchiaia: si va in pensione più tardi, conun meccanismo progressivo che prende in considerazione l’aspettativa media di vita e fissa, nel giro di 7 anni, a 66 anni e 11 mesi l’età pensionabile per tutti. Sono stati poi modificati i metodi di calcolo: conl’abolizione del sistema retributivo e l’applicazione per tutti di quello contributivo, è stata quindi cancellata la pensione di anzianità, che permetteva ai lavoratori di andare in pensione con 35 anni di contributi, e introdotta la cosiddetta pensione anticipata.
Addio anche alle cosiddette “finestre” previdenziali, ovvero i periodi che intercorrevano tra la maturazione dei requisiti alla pensione e la sua effettiva erogazione. Infine, è stato introdotto anche un meccanismo di incentivi e penalizzazioni.
Una rivoluzione, dicevamo, che però non riguarda chiaramente chi già è andato in pensione e coloro che hanno maturato entro la fine del 2011 i requisiti con le vecchie norme. Al lavoro si rimane di più a saltare subito all’occhio è l’addio alle differenze tra uomini e donne. E il traguardo per accedere a tanto sospirato assegno,
Anno Contribuzione uomo
Contribuzione donna
2012 42 anni 1 mese 41 anni 1 mese
2013 42 anni 5 mesi 41 anni 5 mesi
2014-2015 42 anni 6 mesi 41 anni 6 mesi
2016-2017-2018 42 anni 10 mesi 41 anni 10 mesi
2019-2020-2021 43 anni 2 mesi 42 anni 2 mesi
2022-2023-2024 43 anni 6 mesi 42 anni 6 mesi
2025-2026-2027 43 anni 10 mesi 42 anni 10 mesi
2028-2029-2030 44 anni 1 mese 43 anni 1 mese
2031-2032-2033 44 anni 5 mesi 43 anni 5 mesi
LA PENSIONE ANTICIPATA
AUMENTANO GLI ANNI DI CONTRIBUZIONE dopo anni di lavoro, slitta sempre più in là.
La riforma non indugia e fissa nuovi parametri.
Niente più pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. A
partire dallo scorso 1° gennaio gli uomini dovranno aspettare un anno in più (66 anni), senza distinzione tra lavoratori autonomi e dipendenti), mentre per le lavoratrici dipendenti l’uscita è fissata a 62 anni e per quelle autonome a 63 anni e mezzo. Paletti che già dal 2013 si alzeranno per essere in linea con
l’allungamento della vita. L’aumento dovrebbe essere pari a 3 mesi per
ogni triennio (sarà verificato dall’Istat). Questo significa che il signor Mario Rossi, nato l’1 gennaio 1947, con la riforma può accedere alla pensione a maggio 2013, a 66 anni e 3 mesi. Con le vecchie norme, invece, avrebbe lasciato il lavoro a febbraio. L’obiettivo resta- per tutti – di arrivare entro il 2019 a lavorare fino a 66 anni e 11 mesi, con almeno 20 anni di contributi.
A parziale compensazione dell’in-
I COSTI DELLE PENSIONI IN ITALIA SONO PARI AL 13,50% DEL PIL E SONO IN COSTANTE AUMENTO
un miraggio 16 Soldi&Diritti 123 Marzo 2012 PREVIDENZA Le nuove regole
Anno Età dipendenti Età autonomi
Uomo Donna Uomo Donna
2012 66 anni 62 anni 66 anni 63 anni e 6 mesi
2013 66 anni e 3 mesi 62 anni e 3 mesi 66 anni e 3 mesi 63 anni e 9 mesi
2014 66 anni e 3 mesi 63 anni e 9 mesi 66 anni e 3 mesi 64 anni e 9 mesi
2015 66 anni e 3 mesi 63 anni e 9 mesi 66 anni e 3 mesi 64 anni e 9 mesi
2016 66 anni e 7 mesi 65 anni e 7 mesi 66 anni e 7 mesi 66 anni e 1 mese
2017 66 anni e 7 mesi 65 anni e 7 mesi 66 anni e 7 mesi 66 anni e 1 mese
2018 66 anni e 7 mesi 66 anni e 7 mesi 66 anni e 7 mesi 66 anni e 7 mesi
2019 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi
2020 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi 66 anni e 11 mesi
nalzamento dell’età, sono state però abolite le cosiddette “finestre”, quel particolare sistema per il quale bisognava attendere 12 mesi (i lavoratori dipendenti) oppure 18 (gli autonomi) per ottenere la prestazione pensionistica dopo il raggiungimentodei requisiti.
Addio pensione di anzianità, arriva quella “anticipata”
Finora il sistema delle quote (un calcolo che sommava età anagrafica e età contributiva) permetteva di andare in pensione prima dell’età pensionabile, cioè con la pensione di anzianità, che considerava età anagrafica ed età contributiva.
La riforma l’ha cancellata, sostituendola con quella cosiddetta “anticipata”.
Si può conseguire sempre in anticipo rispetto all’età pensionabile, ma saranno necessari, nel 2012, 42 anni e un mese dicontributi per gli uomini e un anno di meno per le donne. Un sistema, anche questo, che però dovrà rispettare l’aumentata speranza di vita e arrivare nel 2031 a 44 anni e 5 mesi di versamenti per gli uomini e 43 anni e 5 mesi per le donne (vedi tabella a pag. 15). La riforma prevede uno “sconto” per i lavoratori inquadrati nel sistema contributivo “puro”, quelli cioè che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 e per i quali il calcolo della pensione viene fatto sull’intera vita contributiva e non sulle ultime retribuzioni come nel sistema retributivo. Per loro la pensione anticipata potrà arrivare a 63 anni se possono far valere almeno 20 anni di contributi e se la pensione maturata è almeno 2,8 volte l’assegno sociale (per il 2011 questo valore era pari a 1.168 euro mensili).
Mano pesante con le donne. A risentire di più delle nuove norme in materia
pensionistica, sono sicuramente le donne. Per loro è stato previsto un brusco
innalzamento dell’età pensionabile. L’età fissata per l’uscita dal lavoro passa quindi dai 60 anni previsti finora ai 66 e 11 mesi del 2019 (in questo caso sei anni sono quelli fissati per la parificazione uomo-donna, gli 11 mesi per le maggiori aspettative di vita). Spariscono nel tempo anche le differenze tra settore pubblico (che aveva già innalzato per il 2012 i limiti per la pensione per le donne portandoli a 65 anni, più uno per la necessaria apertura della “finestra”) e settore privato.
Dunque, già dal prossimo anno le donne andranno in pensione a 62 anni e 3 mesi, per passare poi nel 2016 a 65 anni e 7 mesi e nel 2019 a 66 anni e 11 mesi (vedi tabella in alto alla pagina).
Si salvi chi può. Rimarremo, dunque, al lavoro sempre più alungo. Ma non sarà per tutti così. La legge ha previsto infatti alcune deroghe. A poter godere ancora della vecchia normativa, oltre a coloro che hanno raggiunto i requisiti per la pensione già nel 2011 (sia per vecchiaia sia in base al sistema delle quote), sono anche alcune categorie specifiche.
>>Donne che scelgono il contributivo. Fino al 31 dicembre 2015, alle donne che possono far valere 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 per le lavoratrici autonome) è consentito andare ancora in pensione di anzianità, optando per il sistema contributivo. Ad esempio, la signora Marta Bianchi, nata a marzo del 1954, che a giugno 2011 ha raggiunto i 35 anni di contributi, ha tre scelte: smettere di lavorare e andare in pensione nel 2022 a 68 anni e 3 mesi; continuare a lavorare, raggiungendo il diritto alla pensione anticipata a luglio 2018, con 42 anni di contributi; optare per il sistema contributivo e andare in pensione di anzianità con le vecchie norma a luglio 2013. Quest’ultima opzione, però, potrebbe comportare una perdita della pensione stimabile intorno al 20-30%.
>>Lavoratori in mobilità. I lavoratori che si trovano in mobilità possono andare in pensione con i vecchi requisiti se gli accordi sindacali per la mobilità sono stati siglati entro il 4 dicembre 2011. Per i lavoratori in mobilità ordinaria è necessario che i requisiti per la pensione siano stati raggiunti durante il periodo di mobilità.
>>Chi è autorizzato ai versamenti volontari. Chi ha smesso di lavorare ma ha continuato a versare i contributi potrà invocare la vecchia normativa se l’autorizzazione è stata chiesta entro il 4 dicembre 2011.
>>Lavoratori esodati. Si tratta di quei lavoratori che – per aiutare l’azienda per la quale lavoravano, alle prese con la crisi economica– avevano accettato di dimettersi, optando per uscite agevolate, essendo in prossimità della pensione. La copertura finanziaria per evitare loro penalizzazioni, verrà dall’innalzamento dell’aliquota previdenziale dei lavoratori autonomi, come prevede un emendamento alla riforma. Una clausola di salvaguardia prevede, tuttavia, che se le risorse non fossero sufficienti si procederà con un aumento dei contributi che le imprese versano per gli ammortizzatori sociali.
Cancellato il sistema retributivo. Altra novità rilevante della riforma Fornero è
l’addio al sistema retributivo. Introdotto nel 1969, più di 40 anni fa, il metodo di calcolo aveva già subito un forte scossone nel 1995, con la riforma Dini che lo aveva mantenuto solo per chi all’epoca aveva già maturato 18 anni di contributi. Per chi ne aveva di meno fu previsto un sistema misto (il cosiddetto
pro quota), mentre coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 hanno avuto accesso.
LA PENSIONE DI VECCHIAIA COME SI INNALZA L’ETÀ PENSIONABILE ANNO DOPO ANNO
Soldi&Diritti 123 Marzo 2012 17 al solo sistema contributivo. Ora il retributivo
è andato definitivamente in soffitta. Dallo scorso 1° gennaio, tutte le pensioni saranno calcolate in base al sistema contributivo, quello cioè che prende il considerazione non gli ultimi stipendi (come accadeva per il retributivo), ma tutti i contributi versati nell’arco della vita lavorativa. Così anche per chi aveva il sistema retributivo puro (18 anni di contributi al 1995), la pensione deve essere calcolata, a partire da quest’anno e per gli anni che rimangono fino alla maturazione della pensione, con il sistema contributivo. Se ad esempio il signor Mauro Verdi a fine 2011 aveva maturato 35 anni di versamenti e il traguardo per la pensione di vecchiaia era fissato al 2015, il suo assegno una volta lasciato il lavoro sarà calcolata con il metodo retributivo per i 35 anni totalizzati fino al 2011 (ovvero in base alle retribuzioni degli anni immediatamente antecedenti la data del pensionamento) e con il metodo
contributivo per gli anni dal 2012 al 2015.
Quanto si perde? Se il signor Verdi, e tutti quelli nelle sue condizioni, avranno un danno economico da questi provvedimenti è difficile stabilirlo. Soprattutto è difficile stabilire.
QUANDO SI ESCE DAL MONDO DEL LAVORO Incentivi se resti, penalizzazioni se vai
■■L’obiettivo della riforma pensionistica varata dal governo Monti, a fronte della necessità di rimettere in sesto il bilancio dello Stato, è stato innanzitutto di allungare l’età lavorativa e accedere alla pensione più tardi rispetto a quanto
succedeva finora.
■■Per ottenere questo risultato sono stati introdotti anche particolari meccanismi di penalizzazione e incentivi, che si applicano sulla base della data in cui si decide di abbandonare il lavoro.
■■Per chi andrà in pensione anticipata prima di compiere i 62 anni, è prevista una penalizzazione dell’1% per i primi due anni di anticipo e del 2% per gli anni dieccedenza.
■■Facciamo un esempio: analizziamo il caso del signor Giulio Verdi, che ha iniziato a lavorare a 15 anni e raggiunge il diritto alla pensione anticipata a 58 anni, con 43 anni di contributi. Se, arrivato a questo punto, decidedi andare in pensione subirà una riduzione dell’importo maturato del 6%, determinato dall’1% per ciascuno dei primi due anni e dal 2% per gli altri due anni di anticipo.
■■Per chi, invece, decide di lavorare fino a 70 anni, la riforma prevede una sorta di premio di consolazione, che si traduce in un aumento dell’assegno
mensile.
■■L’aumento dell’assegno mensile per chi continua a lavorare oltre l’età pensionabile prevista, viene stabilito con una riparametrazione dei coefficienti di trasformazione (cioè i coefficienti che determinano l’importo della pensione
contributiva), che andranno calcolati fino a quando non si lascia il lavoro.
NEL GIRO DI 7 ANNI, SIA UOMINI SIA DONNE, DOVRANNO ARRIVARE A 66 ANNI E 11 MESI, PER ACCEDERE ALLA PENSIONE
18 Soldi&Diritti 123 Marzo 2012 l’entità della perdita economica. Molto dipende da quando si va in pensione e dalle prospettive di crescita che si possono avere negli ultimi anni della carriera. Certo possiamo dire che i lavoratori che non hanno grandi speranze di crescita, e che sono abbastanza vicini alla pensione, perdono poco o nulla. Diverso è il caso di chi, ancora con diversi anni davanti, ha la possibilità di avere forti aumenti di stipendio.
C’è anche il caso limite di chi, approdando al sistema contributivo, potrebbe arrivare a percepire una pensione più alta che con il retributivo. È l’ipotesi ad esempio di chi ha stipendi elevati e superiori al cosiddetto “tetto pensionabile” (che nel 2011 era di 43.042 euro). Come si calcola la pensione Con il sistema contributivo è piuttosto semplice calcolare l’ammontare del trattamento pensionistico. Ogni anno il lavoratore dipendente accantona il 33% della retribuzione lorda (la cosiddetta aliquota di computo). Ogni anno l’importo, che finisce su una sorta di conto previdenziale, viene rivalutato sulla base della crescita del Pil. Questo capitale
AGEVOLAZIONI
Quelle del 1952
■■Un emendamento della manovra ha “salvato” le lavoratrici nate nel 1952, che, a un passo dalla pensione, avrebbero visto la data del pensionamento rinviata anche di sei anni.
■■Prendiamo una donna del 1952, con 20 anni di contributi. Con le vecchie regole avrebbe raggiunto i requisiti per la pensione nel 2012, con le nuove nel 2019, a 66 anni e 11 mesi. Il correttivo le consente invece di andare in pensione a 64 anni, con uno sconto di circa 2 anni. (chiamato montante) è il nostro tesoretto per la vecchiaia: è da questa somma che si ottiene la pensione, che è pari a un’aliquota media che oscilla tra il 4,79% (andando in pensione a 60 anni) e il 5,62% (se si lavora fino a 65). L’aliquota di computo è del 20% del reddito d’impresa per i lavoratori autonomi, mentre per gli iscritti alla “gestione separata” varia a seconda se si tratti di lavoratori iscritti alla solo gestione separata o di pensionati o lavoratori iscritti contemporaneamente ad un altro fondo di previdenza.
LA RIFORMA APPLICA A TUTTI I LAVORATORI IL SISTEMA
CONTRIBUTIVO E ABOLISCE QUELLO RETRIBUTIVO