Una delle mie nipoti, si laurea a giorni in Scienze Politiche ed è stata così cara di farmi leggere la sua tesi.
L’ho trovata così spaventosamente importante che mi sono sentita quasi in dovere di condividere alcune informazioni con voi. Mi sono sentita così piccola e così impotente sotto il potere di chi ci governa senza tenere minimamente in considerazione i diritti umani; pensando solamente ai loro interessi e ad aumentare sempre più il loro potere. Come fa un essere umano a non avere rispetto della vita? Basta osservare un fiore, un filo d’erba, a come è fatto il nostro corpo, alla perfezione di ogni organo e la cellula sebbene così piccola, tanto complessa da avere una vita sua.
Ad ampliare e confermare questi pensieri è sopraggiunta, per fatalità la contemporaneità della mia rilettura di “Guerra e Pace” di Lev Tolstoj: Possibile che il genere umano sia sempre lo stesso? L’ esempio di tanti eroi che hanno combattuto, anche con il sacrificio della loro vita per la “non violenza” non sia servito proprio a nulla?
Ed ecco alcuni brani della tesi di Deborah che ringrazio per avermene dato il permesso.
“L’influenza delle armi nella politica internazionale”
Uno dei grandi temi della difesa è certamente quello delle armi, essenziali per qualsiasi operazione difensiva, commerciate in tutto il mondo ad un prezzo non indifferente e fonte molto redditizia per alcuni Paesi, sia in tempo di guerra, sia in tempo di pace.
A questo proposito, risulta naturale chiedersi se con la creazione di una difesa comune ci sia anche un disegno unitario per l’Unione Europea nel commercio delle armi o se questo settore sia lasciato nelle mani degli interessi economici degli Stati membri. Entra in gioco in questo frangente il tema dei diritti umani, fondamentale e tanto caro all’UE, la quale si è sempre proclamata paladina dei diritti umani, anche se non sempre gli Stati membri hanno seguito questa indole, soprattutto quando questa interferisce con interessi economici molto importanti. Inoltre, le destinazioni delle armi portano a porsi alcune domande rispetto ai sistemi di regolamentazione dell’Unione, che esistono e forniscono delle garanzie molto ampie, ma che non sembrano essere sufficienti.
I paesi del continente sono coloro che esportano più armi e non sembrano minimamente intenzionati, come del resto quasi tutti gli Stati del mondo, a mettere in pratica delle azioni concrete per il disarmo, che dovrebbe essere un fine quasi naturale per coloro che lavorano per il rispetto dei diritti umani.
La spesa militare globale ha raggiunto nel 2017 i massimi livelli dalla fine della Guerra fredda con un valore di $1739 miliardi, o $230 a persona. Questi livelli di spesa rappresentano una nuova tendenza, iniziata nel 2015, che sottintende una situazione preoccupante a livello di sicurezza globale e di percezione della stessa. La spesa militare comprende le forze armate, le truppe coinvolte nelle missioni di peacekeeping, le spese dei ministeri della difesa e delle agenzie collegate, le forze paramilitari, le attività aerospaziali militari e tutto il costo dovuto al personale. I dati della spesa militare offrono una visione completa di tutti i tipi di armamenti di cui uno Stato è fornito, anche di quelli nucleari e non soltanto di quelli convenzionali.
La tesi si conclude così:
Il panorama europeo del commercio di armi porta inevitabilmente alla luce il divario esistente tra le intenzioni dell’Unione europea e la realtà delle azioni degli Stati membri, che sembrano appoggiare le politiche solamente sulla carta. Questa incongruenza è chiaramente supportata dai dati sul commercio, dai quali emerge che le politiche europee riportate nella posizione comune, che sono volte a tutelare i diritti umani nei paesi di destinazione delle armi, non sono rispettate.
Infatti, dall’analisi contenuta nel primo capitolo si nota che moltissime armi arrivano in Paesi che rientrano nei parametri per negare la licenza di esportazione, come nel caso dell’Egitto che si attesta tra i primi importatori mondiali ed è il maggior importatore delle armi francesi, nonostante sia oggetto di un embargo sulle armi stabilito dall’Unione europea. Sarebbe naturale pensare che i paesi che violano questi obblighi verranno puniti, ma nella realtà non è cosi, ed è proprio questo il fattore che manca per il corretto funzionamento del sistema sanzionatorio. Per rispondere dunque al quesito posto all’inizio di questo scritto, le politiche per il commercio di armi esistono, sia a livello europeo, sia a livello internazionale, tuttavia gli interessi degli Stati prevalgono sul rispetto di queste regole soprattutto per il fatto che coloro che le violano hanno la consapevolezza che non saranno puniti, e in ogni caso possono invocare a livello europeo l’eccezione prevista dal Trattato sul funzionamento dell’Unione che permette loro di distaccarsi dalle norme comuni per perseguire i propri commerci indisturbati.
Un’altra questione spesso ignorata è quella relativa al disarmo, infatti gli Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a disarmarsi firmando la convenzione, ma non sembrano intenzionati a rinunciare ai loro armamenti, a costo di spendere moltissimo denaro pubblico per accumularli, anche se nei tempi odierni non sembra più necessario accumulare armi per dimostrare agli altri Stati la propria forza. Sono stati fatti dei progressi nel campo del disarmo, ma questi non riguardano le armi convenzionali, bensì le armi chimiche e batteriologiche e quelle nucleari, anche se per queste ultime dopo l’elezione del presidente Trump e la minaccia di ritirarsi dal Trattato INF ci potrebbe essere una regressione.
Dal punto di vista strettamente commerciale, invece, i progetti portati avanti dall’Agenzia europea di difesa si sono rivelati molto positivi e stimolanti per il mercato interno, anche se a livello macroeconomico non ha cambiato le dinamiche internazionali del commercio di armi. Analizzando i dati, infatti, si nota che alcuni dei Paesi europei maggiori esportatori di armi commerciano maggiormente con Stati extra-europei, ad esempio la Francia, al terzo posto globale, vende le sue armi prevalentemente a Egitto, Cina e India, così come la Germania, la Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia, tutte nella top 10 degli esportatori, che hanno come maggiori compratori paesi che non fanno parte dell’Unione. Lo stesso vale per le armi che comprano, infatti i maggiori fornitori italiani sono gli Stati Uniti, come della Gran Bretagna. Il mercato delle armi intra-europeo sta facendo passi avanti grazie all’Agenzia, tuttavia non fornisce ancora quello di cui gli Stati membri sembrano avere bisogno, o quantomeno non ai prezzi che vorrebbero e questo continua a generare flussi in uscita dall’Unione, alimentando anche spesso il commercio di armi di una peggiore qualità.
È opportuno parlare dunque di una politica europea per il commercio di armi solamente teorica, anche se in fase di sviluppo, ma nella realtà di fatti e dati gli Stati europei sono comunque liberi di perseguire i propri interessi, nonostante possano danneggiare l’economia dell’Unione o i diritti umani e di sicurezza in altri Stati del mondo, senza conseguenze poiché come per moltissimi meccanismi europei e non, manca un reale controllo e un sistema di sanzioni efficace che porti gli Stati a pensare che le loro azioni possono avere delle conseguenze.
In conclusione, però, ritengo necessario porre un po’ di prospettiva per quanto riguarda questo commercio e il dispendio di denaro che esso comporta, infatti diversi studi hanno stimato che per raggiungere la maggior parte Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati dall’ONU nel 2015, basterebbe meno della metà delle spese militari annuali del mondo, e per gli obiettivi principali dell’eliminazione della fame e dell’estrema povertà sarebbe necessario poco più del 10% di questo denaro. Queste stime dovrebbero far riflettere gli Stati del mondo sulle loro priorità e a guardare in una differente prospettiva tutto ciò che è contenuto in questo lavoro.