Di questi tempi si parla molto, sui mezzi di informazione e tra i cittadini, di migranti e di immigrati.

Molto spesso se ne parla con slogan e con frasi fatte anche a livello istituzionale senza esporre l’argomento con logica e razionalità.

In questi giorni mi è capitato tra le mani un libretto che parla delle problematiche dell’integrazione, “La scuola di via Anelli” a cura di Roberta Scalone, tra l’altro figlia del nostro socio e caro amico Giovanni.

A proposito di immigrati mi permetto di riportare un passo della D.ssa Scalone, che può essere un’interessante base di riflessione.

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Sembra, a volte, ascoltando le trasmissioni televisive o i discorsi delle persone, che l’ingresso degli stranieri in Italia sia un fatto tipico della nostra epoca. Al contrario, le invasioni sono parte della nostra storia molto prima degli attuali flussi migratori e la nascita di Venezia si fa risalire alla scelta di uomini e donne della città di Aquileia (messa a ferro e fuoco dagli Unni) di cercare scampo nelle paludi.

Archeologi, storici, antropologi, cronachisti di ogni epoca parlano delle migrazioni umane come di un fenomeno frequente e ripetuto nella storia della civiltà umana, legato alla necessità dei popoli di garantire le condizioni per la propria riproduzione, lasciando un territorio colpito da carestia o senza bestiame e cercandone un altro più favorevole all’insediamento. Le migrazioni sono state un potente strumento per la sopravvivenza delle popolazioni, tanto che, storicamente, quelle che sono scomparse (o quasi) non lo sono perchè non hanno trovato una soluzione alle proprie necessità riproduttive, ma perché sottoposte a genocidio da parte di un’altra popolazione.

Generalmente nei manuali di storia il cambiamento di una società viene ricondotto a un salto nell’utilizzo di strumenti per la produzione o a un rivolgimento sociale per cause interne (rivoluzione) o esterne (guerra o migrazioni). Così oggi il fenomeno migratorio, che costringe il nostro paese insieme a molti altri (si parla di fenomeno a livello mondiale), è un fatto che provoca grandi cambiamenti: è dunque un fenomeno speciale sia dal punto di vista storico che dal punto di vista dei cittadini in carne ed ossa, soprattutto per chi ha vissuto o è cresciuto in una società multi etnica (cosa che già i bambini nella maggior parte dei casi non vivono più).

C’è da chiedersi come mai proprio oggi si sia in molti angoli del pianeta la necessità di spostarsi: i flussi migratori seguono la direzione paesi con economie povere/paesi con economie ricche, rivelando che anche ora sono soprattutto le necessità di sopravvivenza a muovere le persone da un capo all’altro del mondo.

Organismi internazionali autorevoli, come l’International Labour Organisation o l’ONU, confermano che 1.2 miliardi di persone ancora oggi sopravvive con meno di 1 $ al giorno.

La ricerca di migliori condizioni di vita è una molla importante, ma non esaurisce il significato del fenomeno migratorio.

Ciò che determina concretamente la decisione di partire è il fatto che le persone abbiano non solo difficili condizioni di vita, ma anche che le percepiscano come tali. Questa percezione non è automatica, ha bisogno di condizioni particolari per poter emergere.

In generale la nostra capacità di percepire una cosa dipende dalla possibilità di riuscire a distinguere questa cosa da altre, cogliendone le differenze. Una persona che si veste da sempre con un tessuto prodotto dal suo villaggio non avrà mai la percezione di vestirsi in modo sempre uguale finché non vedrà qualcuno di un altro villaggio che indossa vestiti diversi.

Anche la percezione delle proprie condizioni di vita dipende dalla possibilità di compararle a quelle di altri e di poter quindi immaginare la propria vita diversamente da come concretamente la stiamo vivendo.

Oggi questa percezione si è notevolmente estesa a seguito dello sviluppo senza precedenti dei mezzi di comunicazione. Infatti, la percezione delle proprie condizioni di vita non nasce solamente dal confronto con gli standard di vita esistenti nella società in cui si vive, ma anche dal confronto con le possibilità offerte dalla società globalizzata nel suo complesso.

Vivendo in una società massmediata e globalizzata l’aumento della percezione delle proprie misere condizioni di vita è sempre più favorita dall’estendersi dei mezzi di comunicazione, basti pensare ai racconti dei tanti albanesi che hanno tentato in ogni modo la traversate dell’Adriatico per raggiungere l’Eldorado-Italia che avevano imparato a conoscere e soprattutto a sognare guardando la televisione.

Un’altra importante differenza tra le migrazioni di ieri e di oggi riguarda il fatto che, pur essendo fenomeni di massa, stando alle statistiche, sono nello stesso momento fenomeni individuali, nel senso che è un progetto individuale di vita che muove moltissime persone singole.

Oggi le migrazioni non sono fatte da popoli guerrieri, guidati da un capo che li porta a conquistare un nuovo territorio, mettendo in discussione con la guerra, la violenza e il saccheggio la sovranità territoriale del popolo che attaccano. Esse, a differenza di ieri, rispondono ad un progetto di vita personale (non parlo ovviamente dei fenomeni di massa dei profughi), cosa che rende il problema più complesso, più sfuggente e meno controllabile. Se nella storia un patto con il re di un popolo poteva portare alla fine delle ostilità, finora nessun accordo intergovernativo tra paesi coinvolti da fenomeni migratori è riuscito a fermare il flusso, che ha sempre trovato nuove vie e nuovi approdi per continuare a muoversi.

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