Sono nato nel mese di Maggio del 1938, nel culmine dell’era fascista. Governava allora , dittatorialmente, il cav. Benito Mussolini, purtroppo alleato del più grande genio del male che la storia ricordi, il tedesco Adolf Hitler, assassino pazzo e spietato.
In Italia, in quel periodo, per trovare una qualsiasi occupazione bisognava essere iscritti all’unico partito politico esistente; quello fascista. Nonostante fossi un bambinetto, ho vissuto, seppur in maniera quasi completamente inconsapevole, gli avvenimenti tragici della seconda guerra mondiale, poco o niente comprendendo di quanto stava succedendo. Eppure più di qualcuno di essi è rimasto scolpito nella mia memoria e neppure mai potrò dimenticarlo. Almeno tre ne voglio qui ricordare che mi hanno lasciato segni indelebili e che spesso ancora oggi, riaffiorano a distanza di oltre settant’anni.
Primo, il bombardamento della stazione di Padova. Mi trovavo quella mattina con la mamma ed i due fratellini più piccoli di me (papà era al Lavoro), nella cantina di casa, appena fuori delle mura cittadine, dove avevamo cercato rifugio; al suono lugubre della sirena che annunciava alla popolazione il cessato allarme, verso le ore undici o poco dopo, siamo usciti alla luce del sole; questo però non si riuscì a vedere; il cielo infatti era completamente oscurato da un intenso fumo e dallo svolazzare di piccoli pezzettini di carta e di legno bruciato. Una nevicata! ma non di bianchi fiocchi. Non ricordo quanto durò questa strana “nevicata” ma sicuramente un bel pò di tempo. Nel frattempo potemmo rientrare in casa, al contrario di moltissimi cittadini disgraziatamente deceduti sotto le macerie delle loro case distrutte.
Secondo episodio, le incursioni serali, a bordo di un piccolo apparecchio, un bimotore forse, di un pazzo assassino, non meglio identificato ma comunemente chiamato “Pippo” che lasciava cadere ad intermittenza delle bombe sopra le case della città di Padova e della provincia; con la mia famiglia allora, dopo la tragedia della stazione, ci eravamo da qualche mese rifugiati a Lion di Bertipaglia, piccolo centro di campagna dal quale tutti i giorni mio papà raggiungeva il suo ufficio pedalando su una vecchia bicicletta. Intanto, mentre Pippo lanciava le malefiche bombe, tutti gli anziani e le mamme con noi bambini, fuggivano in aperta campagna per non venire colpiti dal folle bombardiere.
Terzo episodio, la splendida mattinata di primavera del 25 aprile del 1945, quando verso mezzogiorno, una squadriglia di piccoli apparecchi da turismo, lanciarono dall’alto migliaia di volantini colorati, che annunciavano alla popolazione che finalmente la guerra era finita. Nel frattempo, mamma con le lacrime agli occhi e mio papà stavano già radunando i pochi miseri effetti personali che avevamo con noi e stavano organizzando l’immediato ritorno nella nostra cara, amata casa di Padova.