L’ORO DI DONGO  

    Il 29 aprile 1957, dopo oltre 11 anni di istruttoria, iniziata a seguito di un esposto del Comitato di Liberazione di Como, si apre a Padova il dibattimento denominato “L’oro di Dongo”.

    Come in una interminabile partita di ping-pong l’inchiesta era passata dalla Procura di Como, alla Procura Militare di Milano dato che l’indagine riguardava ‘preda bellica’, ma questa sollevò conflitto di competenza sottolineando che i partigiani non potevano considerarsi  militari e quindi rimise gli atti alla Cassazione.  Dopo una serie di andirivieni  tra autorità giudiziaria ordinaria e militare la Corte di Cassazione, in base all’art.103 della Costituzione che stabilisce che i Tribunali Militari in tempo di pace “hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”, accolse l’eccezione sollevata dall’Autorità Giudiziaria militare e rimise gli atti alla Corte d’Appello di Milano che, dopo un primo rinvio alla Corte d’Assise di Como, competente per territorio, intervenne nuovamente la Cassazione,  ordinando che il processo dovesse svolgersi a Padova per ‘legittima suspicione’.

    E’ stato il primo mega processo che avrebbe dovuto svolgersi a Padova: 37 imputati, 300 testimoni, 50 parti offese, decine di giornalisti italiani e stranieri. Le accuse sono di furto ai danni dello Stato e di omicidi avvenuti nel contesto storico della fine del fascismo, della fuga di Mussolini travestito da soldato tedesco, della sua fucilazione insieme con Claretta Petacci e della esecuzione dei gerarchi fascisti sulla piazza di Dongo.

    L’istruttoria accertò che Mussolini e i gerarchi portavano con loro verso la Svizzera 66 kili d’oro, 1150 sterline d’oro, 147.000 franchi svizzeri, 16 milioni di franchi francesi, 10.000 pesetas e le carte processuali  parlano di 5 o 6 valigie con 400 milioni, monete estere e pellicce.

    Come noto il convoglio dei camion venne fermato a Dongo dai partigiani della 52^ Brigata Garibaldi e Mussolini viene arrestato e giustiziato a Giulino di Mezzegra dal colonnello Valerio, mentre i gerarchi furono condotti sulla piazza di Dongo e fucilati.

    Ci si è chiesto: chi ha preso i gioielli e le ingenti somme di denaro tolte ai fascisti e che fine ha fatto l’oro di Dongo?

    La Squadra di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri, costituita da poco alle dirette dipendenze della magistratura a  seguito della riforma del Codice di Procedura Penale, affiancò il P.M. del processo, dr.Josè Schivo, per il completamento delle indagini perché, dopo i primi giorni di udienza, da tutta Italia giunsero alla Corte una pioggia di richieste di persone che intendevano riferire quanto a loro conoscenza sui fatti di causa e dopo le prime audizioni, quasi tutte dello stesso tenore, il dr.Schivo pensò di far sentire quelle persone prima dalla Polizia Giudiziaria onde snellire il lavoro della Corte ed avute le deposizioni  valutava se ascoltare o meno gli interessati.

     Fu un periodo di intenso e soddisfacente lavoro che comportò notevoli sacrifici.

      Quel lavoro è rimasto agli atti del processo per ‘l’0r0 di Dongo’ che non si è mai concluso perché il 13 agosto 1957 il giudice popolare Silvio Andrighetti, pare affetto da nevrosi depressiva, si suicidò nella sua abitazione di Piove di Sacco, con un colpo di pistola alla tempia.  Il processo fu così rinviato a nuovo ruolo, ma non è stato più rifatto. Alla notizia della morte dell’Andrighetti il Presidente Zen commentò: “E’ un’altra vittima dell’oro di Dongo” ed il P.M. aggiunse: “I fatti di Dongo continuano a fare vittime anche dopo dodici anni. Mille pagine di dibattimento gettate in aria.”

                                                                                  Lelio Russo